Marco Degl’Innocenti TOOLS galleria C2 FIRENZE- marzo 2017-
Tools, strumenti del lavoro artigiano o contadino, attrezzi di una quotidianità desueta, quasi scomparsa, o elementi di un’immaginario deposito sentimentale personale, fissati nella forma plastica più raffinata che Marco Degl’Innocenti qui raccoglie e propone con l’attenzione preziosa dell’artista e la disposizione malinconica e ironica del poeta che ne certifica lo status di “cari estinti”. Si tratta di un’installazione site specific con cui Degl’Innocenti fa il suo esordio con una mostra personale che testimonia la necessità di misurarsi in un terreno nuovo, di fare i conti con sé stesso a metà del cammino.
Non è casuale a scelta della Galleria C2, spazio ricavato dal recupero di una vecchia lavanderia, a due passi dall’istituto d’arte di Porta Romana dove Marco Degl’Innocenti si è formato e dove è iniziata la carriera di artista restauratore che, in quasi trent’anni, lo ha visto confrontarsi, senza soluzione di continuità, con i grandi scultori rinascimentali e i migliori maestri moderni e contemporanei, passando per Canova. Senza dimenticare il ruolo di consulente alla realizzazione plastica per tutta una serie di artisti che stanno nel parterre de roi dell’arte contemporanea internazionale e non possono prescindere dalla sua grande sapienza delle cose “fatte ad arte”. Tutto questo non va dimenticato e costituisce una premessa necessaria ma non sufficiente. Premessa per un nuovo inizio, sempre nel territorio della scultura con le caratteristiche della narrazione figurativa. Una narrazione che, attraverso i vari, preziosi e ironici frammenti racconta la vicenda di un mondo che è scomparso, o sta scomparendo, sotto gli occhi di chi cerca di trattenerne i valori più profondi e più sentiti. E soprattutto di restituirne la sobria bellezza, spesso nascosta nei materiali.
Per quanto appropriato possa essere il riferimento, penso a quella catalogazione per frammenti dei sentimenti umani realizzata molti anni fa (quando Marco nasceva) da Goffredo Parise nei suoi Sillabari, che restano una delle più convincenti testimonianze poetiche della fine di un mondo.
I Sillabari erano il tentativo di trattenere l’idea di un sentimento “in forma di parole” , ma anche il sapore di un mondo che stava svanendo per sempre.
Ecco, credo che con TOOLS Marco Degl’Innocenti voglia presentare un suo personale sillabario in forma di scultura e ricordarci che, se non esiste più, non può più esistere quell’ordine antico, attraverso i frammenti reinterpretati di quell’antico ordine si può ancora usare il linguaggio dell’arte e della bellezza. Orion è un dei termini con cui in Grecia si indicava l’apparire della bellezza, fatto dinamico, momentaneo, vitale. È un aggettivo che ci va di accostare a questi lavori. Connotati da una sapienza e una preziosità intrinseci che però non hanno in sé nulla di epico, di compiaciuto. Si ricava piuttosto un’intonazione lirica, una nota teneramente ironica, un sentimento malinconico, uno stile sobrio.
Che la fionda di Marco Degl’Innocenti, magicien de la terre, possa colpire lontano…
Angelo Pauletti, febbraio 2017
Ci piace, per chiudere, accostare al testo due brevi frammenti poetici; uno di John Donne e l’altro di E.E. Cummings che crediamo possano aiutare a capire, il primo il senso di questa mostra, il secondo la poetica di Marco Degl’Innocenti.
UNA PARTENZA: VIETATO PIANGERE
“Così saremo tu ed io, che devo
come l’altro piede, correre obliquamente;
la tua fermezza rende il mio cerchio perfetto, e mi fa finire,dove io ho avuto inizio”
John Donne
“Sempre sia il mio cuore aperto ai piccoli uccelli che sono il segreto del vivere qualsiasi loro canto è meglio del sapere
e li uomini che non li sentono sono vecchi”
E.E. Cummings
Su alcuni manufatti di Marco Degl’Innocenti, testo di Adolfo Natalini
Attrezzi da lavoro: innestati su lunghi manici di legno una mano ad artiglio è un rastrello, una mano distesa in verticale è una vanga, una mano in orizzontale è una zappa. Il progenitore di tutti i coltivatori è entrato in un negozio di attrezzi: ha comprato solo i manici, i ferri li aveva già nelle mani. In un racconto di Borges un ignoto Pierre Menard scrive oggi il Don Chisciotte senza farne una copia: è una nuova creazione identica all’originale ma differente per il tempo in cui viene prodotta.
Una volta ho visto Marco lavorare sulla copia delle formelle della porta nord del Battistero fiorentino. Ho cercato dietro le sue spalle l’ombra del Ghiberti: sicuramente ne avrebbe ammirato il mestiere sapiente e la passione. Marco aderisce alle cose: le sceglie, le riproduce, le combina, le inventa, le crea in un processo senza fine in cui le cose si caricano di senso e alla fine sono un autoritratto.
Un’incudine di terracotta invetriata è pronto a sostenere i colpi crudeli di un maglio di ferro rimanendo in bilico su un su un sontuoso cuscino di velluto rosso. È più duro il ferro o la terracotta? Come nel gioco sasso forbici e carta ognuno vince sull’altro ciclicamente. Una fionda tende invano i suoi elastici che sono diventati rigidi di bronzo. Un piatto da batteria attende d’esser percosso dalle bacchette ma nel frattempo è stato inglobato da un tronco d’albero cresciuto nell’intervallo di una battuta. Mappe fantastiche nascono dal craquelé di piastrelle in ceramica e spilli con teste sferiche segnano il luoghi notevoli al viaggiatore curioso o al flàneur.
Di uno strumento meccanico di una civiltà scomparsa è rimasta solo la fragile custodia di cotto che era sicuramente destinata a scomparire prima del ferro che conteneva. Un naturalista folle ha collezionato campioni vegetali e li ha resi eterni con un rivestimento in caolino. Una pila di mattoni in laterizio porta i segni di un divoratore di argilla. Una custodia di velluto raccoglie un set di cucchiaini da caffè che contengano nell’incavo l’impronta digitale dell’autore: sfuggiranno all’ incauto commensale cleptomane. Una coppia di guanti da giardiniere masochista hanno spine di rosa conficcati nel palmo della mano.
Marco Degli Innocenti lavora come un alchimista nel trasformare le materie e lavora come un artista che, come scriveva Paul Klee, non rappresenta il visibile ma rende visibile. I suoi oggetti scultura sono esplorazioni in un’altra dimensione e in un altro tempo. Seppur prodotti ora e qui non sono contemporanei: il presente non basta e chi sposa lo Zeitgeist resta presto vedovo. I suoi oggetti scultura raccontano un’ arte antica della materia che travalica i tempi trasformando idee in cose e cose in idee. È in questo vagabondaggio della fantasticheria che sta il lapsus (il salto, l’inciampo) tra l’idea e l’ oggetto.
Marco Degli Innocenti ha rinunciato da tempo all’innocenza, malgrado il destino insito nel nome (nomen-omen) e affronta il mondo con la crudele gentilezza dell’artista.
Ora attendiamo altri suoi manufatti destinati alla nostra meraviglia.
Adolfo Natalini